Aquiloni

Voli di carte

Le carte di Luciano Puzzo da “de-cifrare” in questa mostra, ovvero da aprire e trovarne le chiavi di lettura, non hanno una “cifra”. O meglio, non hanno la cifra che da un certo numero di anni contraddistingue l’operato dell’autore tra lettere alfabetiche, allitterazioni, modalità grafica e digitale applicata all’arte visiva e pittorica, pittura e così via.

La novità di questi lavori consiste innanzi tutto nell’uso e nella presentazione di opere finite realizzate in sola carta. Carta vergatina, la nostra amata, leggera, cosiddetta e ormai antica “carta velina”. Chi ha una certa età, come anche chi scrive, ha quasi certamente incontrato, usato, manipolato e goduto di tale tipo di carta. L’uso della carta vergatina che Luciano Puzzo ne fa – provocatore per scelta e per passione – è in se stesso già parte di quell’impulso che lo ha spronato oggi a realizzare opere che assumono appunto una diversa cifra, nuova, fresca, che emana il profumo leggero e colorato di un mondo vissuto dall’autore nell’infanzia, un mondo ora depurato dal ricordo e idealmente amplificato da un respiro di totale libertà immaginativa.

Se da bambino realizzava aquiloni con fettucce di canna “spaccate con rabbia” (come nella sua poesia Ali di vento, 1982), e con la carta vergatina colorata e piegata in modo geometrico, oggi il pittore, ripercorrendo la manualità di un tempo, si riconnette alla forza e alla purezza delle proprie aspirazioni, animando opere dove l’aspetto dell’aquilone si dissolve, distribuendosi in acquose stesure dai toni brillanti di piccoli rettangoli, piegati e stropicciati da una gestualità emotiva e al contempo razionale, in cui misura e geometria sono in realtà solo apparenti. Nei suoi nuovi “aquiloni” a vibrare è l’emozione sottesa al gesto: la carta piegata di un tempo si apre all’oggi, evocando in lui ricordi antichi e radicati nella propria formazione visiva sensibile e caratteriale ma, nel confronto con le attuali drammatiche situazioni, si inquina della stessa contaminazione che avvelena, in condivisione con chi guarda, i nostri mari, il nostro cielo, il nostro ambiente.

Il processo creativo, mosso dal ricordo, diviene allora atto di ribellione e pianto, scaturito dall’indignazione per un presente contaminato, e cosciente invito alla riflessione e alla rivolta – come del resto in tanti lavori dell’autore, veri e propri interventi e prese di posizione che innescano intuizione e ragionamento in chi guarda, come nell’installazione L’urlo (2017): una sorta di azione in background, che si attiva perfino nell’osservatore più distratto durante la visione dell’opera e continua a “lavorare” nell’interno coscienziale mentre scorre la quotidianità, risolvendosi, in un processo più o meno lungo, in risultato emotivo e consapevolezza concettuale inaspettatamente dirompenti.
Anche negli Aquiloni, innocente simbolo di fanciullesco volo e speranza di libertà, Puzzo mette in atto il medesimo meccanismo volto alla protesta, stavolta con un’implicazione fattuale maggiore e totalizzante, in quanto concettualmente implicante la dimensione ideale dell’infanzia e, per l’autore, fonte potente di energia creativa. Il coinvolgimento dell’osservatore viene captato matericamente con i veli leggeri delle carte, con l’estroflessione della superficie dell’opera che cattura sensazioni fisiche e termiche. Il ricordo si concretizza nell’oggi, sporcato dal presente. Il candore del bambino si amplia nella consapevolezza dell’adulto. Un processo psicologico del tutto naturale, se tuttavia non pensassimo alle implicazioni che tale consapevolezza comporta: l’impegno di cambiare il presente.

Per questo la carta degli aquiloni è lavorata, ripiegata più volte, imbevuta di colore, ridistesa, e poi colorata di nuovo, come descritto dall’autore nella poesia Il mio lavoro (2021), riferito tuttavia all’uso di una foglia nella realizzazione di un’opera. Le venature della foglia, “cicatrici dolorose”, si tramutano nelle incancellabili piegature negli odierni aquiloni, barriere per cristallini mari di colore dove l’acquerello, marea trasparente, si insinua e ristagna, denso e scuro, “senza più onde per fuggire via/né colori per nascondersi” (Mare di plastica, 2019). Anche a distanza di anni, senza tempo, nel mondo immaginifico dell’autore, componimenti poetici e arte visiva interagiscono in una sorta di “arte totale” che si completa e si descrive rinnovandosi ogni volta. In Foglia, poesia del 2021, la foglia-aquilone, staccata dal vento, cade a terra, si accartoccia e si stropiccia nell’imminente distruzione della morte, ma torna poi a volare.

Laura Turco Liveri

Bambino

Bambino,
se trovi l’aquilone della tua fantasia
legalo con l’intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti ricoprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
che portino la pace ovunque
e l’ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell’acqua del sentimento.

Alda Merini